I mondi e i personaggi di Laini Taylor

Oggi voglio raccontarvi la mia esperienza di lettura con i romanzi di Laini Taylor. In giro per la rete troverete molte altre recensioni dettagliate, io invece vorrei soffermarmi più sull’incredibile qualità delle sue opere, che hanno vibrato nel mio cuore, come poche altre letture.

Laini Taylor è prima di tutto una artista, visionaria e fortemente sognatrice, non meno dei suoi personaggi, in effetti. È stata capace di creare mondi fantasy diversi dai soliti canoni noti. Nei suoi romanzi, tutto è inventato, tutto nasce dalla pura immaginazione e anche materiale tipico degli young adult viene manipolato da lei in maniera sempre originale. Le figure che popolano i suoi romanzi sono tratte da bestiari medievali, orientali, spunti di mitologia egizia o indiana, passando da Gilgamesh al libro dei morti che si allontanano per fattezze dalle tipiche figure di questo genere letterario. Non troveremo qui elfi, nani e draghi, ma immagini angeliche di profondo simbolismo, animali antropomorfi, spiriti e fantasmi di ascendenza divina, votati non al bene del mondo creato, ma alla loro distruzione o sfruttamento. Ma la costruzione dei suoi mondi, così originale, è solo il primo livello di esplorazione delle sue opere che è possibile osservare.

Ho letto tutto d’un fiato la trilogia della Chimera di Praga. Mi mettevo a letto, la sera, con i suoi libri e mi perdevo in un mondo di immaginazione e di intensità emotiva che mi hanno aiutata a dormire in un periodo non proprio sereno. Ho seguito la storia di Karou come se la conoscessi e il desiderio di disegnarla, ritrarla è stato da subito fortissimo proprio perché Laini Taylor scrive come se stesse dipingendo, mostrando personaggi e ambienti con colori e forme iridescenti.

Ho poi proseguito subito con la duologia del Sognatore, che si aggancia alla trilogia precedente in quanto parti di uno stesso universo collegato. E anche qui ho ritrovato quest’atmosfera onirica, questi personaggi così vivi.

Ciò che più mi ha colpito delle sue opere, e che mi muove a parlarne, è lo splendido messaggio che le sue storie raccontano. Nella Chimera di Praga la protagonista è una ragazza dal temperamento artistico, molto autonoma e indipendente, ma che di fatto ha un vuoto dentro sé che non le consente di vedere le proprie radici e quindi di esprimere al meglio il proprio potenziale. Per di più, ha una amica, Zuzana, che l’adora e che continua ad apprezzarla anche se di Karou conosce poco e niente. Zuzana si rende conto che Karou è diversa, tormentata, che ha una seconda vita di cui si vergogna a parlare, che esiste in lei un lato oscuro che non può capire, eppure decide di restarle accanto lo stesso, apprezzandola per la sua generosità e la sua forza d’animo, forse proprio anche per quella solitudine dell’essere che contraddistingue questa splendida eroina dai capelli blu.

Questa opportunità di esprimere il proprio potenziale, il proprio destino di vita, le arriva non come un dono sceso dal cielo, ma come conseguenza di una profonda crisi personale e di valori, una grossa perdita a livello emotivo e sentimentale. Karou scopre la verità su sé stessa e su cosa sia in grado di fare sperimentando perdita, dolore e sacrificio. Non è un personaggio passivo, non si siede ad aspettare il destino né si poggia al protagonista maschile, Akiva, il quale rappresenta sempre la sua degna controparte senza mai affossarla ma accompagnandosi a lei in un ritmo, in una danza di uno splendido e tormentato amore. Karou è risoluta, anche attraverso azioni di violenza subite e minacce psicologiche. Non si arrende mai al peso dei ricordi che la tirano indietro in un mondo ormai scomparso, ma riesce sempre a vincerli e ad avere un occhio puntato sul futuro e sul futuro dei propri cari. Mai un lamento, mai una lacrima di troppo, mai una volta si ferma a poggiare il capo sulla spalla d’altri, perdendo il controllo delle proprie decisioni.

Karou si sacrifica per gli amici, per la sua gente, non si risparmia mai nella sua ricerca di verità e di pace, è una eroina giovane e piena di valori che si irradiano nelle sue azioni nel corso di tutta la storia e la ragazza che conosciamo nelle prime pagine non è quella che ritroviamo alla fine della trilogia: c’è stato un cambiamento, una trasformazione nella sua psiche, è un personaggio completo, reale, quasi fatto di carne e sangue per quanto mi riguarda, e che ho sentito molto vicino.

Anche nel Sognatore, troviamo un personaggio molto simile, Lazlo Strange. Lui, ancor più di Karou, è inconsapevole delle sue doti, del suo potenziale. Mentre Karou aveva trovato nel mondo terreno il modo di veicolare la sua immaginazione e i suoi ricordi sotto forma di arte e col disegno, Lazlo si trova invece completamente affossato da una società che non solo non lo aiuta a risplendere, ma che lo sottovaluta. Lazlo costruisce un mondo coi suoi sogni, sino a poterlo solcare e viaggiare, e infonde tutta la sua conoscenza in un libro che viene rubato e maltrattato, usato dal suo rivale, o meglio doppio, Thyon Nero, l’alchimista privo di fantasia. Lazlo è un sognatore, non ha in sé le doti per poter realizzare il suo sogno, perché lui per primo non crede davvero nel suo progetto, schiacciato com’è da una realtà che lo umilia, lo fa sentire privo di valore, nessuno. Ma quando Thyon riesce, col suo libro, a fare ciò che Lazlo non ha mai osato fare, allora il destino del ragazzo cambia e cambia per il meglio. Inizia finalmente a prendere forma il percorso del suo destino.

Questa cosa mi ha fatto molto riflettere sul fatto che le persone che si perdono nei sogni sono poco in grado di realizzarsi, e necessitano di qualcuno che si comporti in modo più spregiudicato e concreto di loro. In tal senso, il rapporto tra Lazlo e Thyon si configura come fondamentale: ognuno di loro ha qualcosa che l’altro non ha, e nella loro unione contrastata riescono a dare forma l’uno al destino dell’altro.

In questa duologia, oltre a cavalcare come nella trilogia precedente, l’analisi di personaggi in scoperta del loro io, LT approfondisce il mistero dell’amore in maniera davvero profondissima: Lazlo e Sarai quasi non si toccano, ma possono guardarsi per quello che sono all’interno dei loro sogni e dei loro incubi. L’amore sgorga da una parte più profonda della loro mente e delle loro anime, e per questo diventa un legame da subito indissolubile e forte a tal punto da trascinare la storia verso vette irraggiungibili.

In entrambe le storie, l’amore non è mai fine a sé stesso, non è mai qualcosa che resta in disparte dal resto della trama, qualcosa di scollegato, di ornamentale, di evitabile. L’amore ha sempre un senso che va oltre l’umano e dona la forza di giustificare scelte collettive, talvolta dettate da impulsività, da volontà di superare barriere sociali, leggi, ordini e taboo che altrimenti non si avrebbe avuto il coraggio di superare. L’amore sempre unisce due individui diversi che fanno parte di collettività distinte, che altrimenti non avrebbero saputo trovare un punto di incontro fatto di pace e di equilibrio.

L’amore è vero perché unisce, anche quando fa soffrire, anche quando si abbatte sotto i colpi della vita e del destino, e i personaggi della Taylor scoprono questo sentimento mai solo con gioia artificiale: questo non sarebbe reale. I personaggi vivono l’amore con lo stesso patimento, la stessa angoscia e speranza di ciascuno di noi, senza mai la sicurezza di un futuro certo e determinato. Eppure, così muovendosi, tra dubbi e paure, cambiano il corso della propria vita e di quelli che li circondano, per sempre.

Resto quindi in attesa del nuovo romanzo di Laini Taylor che, come è spiegato di striscio nella Musa degli Incubi, sarà ancora una volta ambientato nel mondo di sua creazione, ispirato dal caos e dalla ribellione di personaggi primordiali e violenti che – durante un loro viaggio – squarciarono i veli dell’universo andando a creare realtà prima non esistenti in diversi mondi sconosciuti.

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